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CONFESSIONI
16 ottobre 2020

Tiziano Ferro: "Bevevo per non pensare al dolore, vivevo frustrato"

Il cantante ha raccontato a cuore aperto le sue sofferenze passate in una toccante lettera: "L’alcol mi portava a voler morire sempre più spesso"

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Tiziano Ferro, 40 anni, si è aperto con i suoi fan in una lunga lettera affidata alle pagine di Sette, magazine del Corriere della Sera, anticipata da un suo toccante post sui social, con alcune delle sue confessioni più difficili. "L’alcolismo ti guarda appassire in solitudine, mentre sorridi di fronte a tutti. Forse piangevo perché mi toglievo la vita ogni giorno. Forse era il dolore nel morire una, due, trecento volte. Potevo pensare quello che volevo, ma quello strazio, quel tormento non generavano niente, era solo disastro. Ed è stato quando l’ho capito che è nata la mia voglia di risalire, da lì o da una delle altre decine di volte simili a quella", confessa Tiziano Ferro parlando del suo passato. E prosegue: "Una sera la band mi convinse a bere e da lì non mi sono fermato più. Bevevo quasi sempre da solo, l’alcol mi dava la forza di non pensare al dolore e alla tristezza, ma mi portava a voler morire sempre più spesso. Ho perso occasioni e amici. Io ero un alcolista. Oggi non bevo più, non bevo perché accetto la vita". All'origine del suo malessere, spiega Ferro, il bullismo e la violenza subiti durante l'infanzia, seguiti da un successo diventato un peso: "Non sono mai stato il primo della classe, ero anonimo, non bello, per niente atletico, anzi grasso, timido, i ragazzi mi chiamavano ciccione, femminuccia, sfigato. Aspettavo che qualcuno intervenisse per difendermi, ma non succedeva mai", racconta. "Vivevo perennemente frustrato, incazzato e anche umiliato. Alcolista, bulimico, gay, depresso, famoso. Pure questo, famoso, mi sembrava un difetto, forse il peggiore". Una sofferenza che con il tempo, grazie alla musica, si è trasformata in speranza. "La musica era l’unica cosa che avevo, un canale per esprimermi in un mondo nel quale non mi riconoscevo. Ho sempre pensato che dietro ogni storia di dolore si nascondessero il privilegio e il dovere morale di poter aiutare qualcun altro. La mia storia me lo insegna e ogni volta che ho consegnato alla gente le mie cicatrici, si sono sempre trasformate in soluzioni. Oggi mi sono ripreso il Dio che mi avevano spiegato da bambino".

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